Memo
Istituto Storico di Modena
Fotografia di storia, storie di fotografie
Quattro conversazioni su quattro icone del Novecento, i loro retroscena e le loro ambiguità
L’idea che una fotografia possa cambiare il corso della storia è stata uno dei miti del fotogiornalismo dell’età
eroica, a metà del Novecento. Le fotografie della storia vivono certamente nella storia, e a volte la influenzano la influenzano, ma accade più spesso il contrario, cioè che la storia cambi le fotografie.
Attraverso la storia di quattro icone del Novecento, allargando via via l’orizzonte al loro contesto, si cercherà di spiegare come avvenga questa osmosi di senso. In un periodo storico in cui le immagini sembrano tradire il mandato assegnato alla fotografia, ovvero quello di renderci vera testimonianza degli eventi, si cercherà di analizzare quanto il mito della trasparenza fotografica abbia prodotto equivoci e pregiudizi, ma anche quanto sia importante per la storia e la memoria l’esistenza di testimonianze visuali della storia, una volta che si sia capaci di trattarle come intrecci inscindibili di documento e monumento. Il corso, rivolto ai docenti delle scuole di ogni ordine e grado, si articola in quattro incontri che saranno condotti da Michele Smargiassi*
Calendario degli incontri
►martedì 18 febbraio 2025 dalle 15.30 alle 17.00
Dorothea Lange, Madre Migrante, 1936
Sede: Sala Ulivi, Via Ciro Menotti 137 Modena
Grande Depressione americana. Colonne di diseredati sciamano verso la California covando il loro Furore. Una grande fotografa incontra una famiglia appiedata da un guasto alla macchina in un fangoso campo di raccoglitori di piselli. È un incontro quasi muto, breve. Ne uscirà una delle grandi icone del secolo, il ritratto della madre migrante, angosciata ma forte, che sorregge il pianto dei figli. Ma la fotografia raccontò agli americani una storia un po’ diversa da quella reale. E alla fine, il soggetto si ribellò contro la sua immagine e accusò la fotografa di sfruttamento. Dorothea Lange, fotografa con coscienza, ne restò addolorata per tutta la vita. Cosa raccontava davvero quella immagine? A chi era destinata? Quali effetti produsse? Che cosa è oggi per noi?
►martedì 25 febbraio 2025 dalle 15.30 alle 17.00
Robert Capa, Omaha Beach, 6 giugno 1944
Sede: Sala Ulivi, Via Ciro Menotti 137 Modena
Era già stato proclamato “il più grande fotografo di guerra” Robert Capa quando sbarcò con la prima ondata di marines sulle spiagge della Normandia. Ma ebbe paura, e non lo nascose mai. Portò indietro immagini memorabili del D-Day. Ma erano solo undici. Il mito delle decine di altre foto perdute a causa di un errore del tecnico di camera oscura oggi è seriamente messo in discussione. Ma sono le uniche immagini di quel giorno, e Capa le fece. Ovvero, come la società pretenda dal suo occhio delegato, il fotoreporter, di essere un supereroe, sia disposta ad accettare qualche bugia pur di non essere delusa. Ma sfortunata la fotografia che ha bisogno di eroi.
►martedì 11 marzo 2025 dalle 15.30 alle 17.00
Nick Ut, La bambina del Napalm, 1972
Sede: Sala Ulivi, Via Ciro Menotti 137 Modena
Non avremmo dovuto vederla: per le regole puritane dei media, una bambina nuda era scandalosa. Più del fatto che la sua schiena fosse in fiamme per il napalm. Fuoco amico: in quel villaggio non c’erano vietcong, solo contadini. La piccola Kim Phuc, aiutata dal fotografo Nick Ut, sopravvisse, col corpo fisico martoriato e quello spirituale glorificato, divenne simbolo, icona, si disse che quella dola fotografia fece perdere agli Usa la guerra in Vietnam. Ebbe davvero quella potenza? Poteva averla? A quali condizioni? E cosa ne fu della piccola Kim? Ridotta a icona da mostrare ad ogni cerimonia, fuggì dal suo paese e riparò in Canada. Quando il corpo reale si ribella al corpo mistico. Ma nella storia resta il secondo.
►martedì 25 marzo 2025 dalle 15.30 alle 17.00
Kevin Carter, Il bambino e l’avvoltoio, 1993
Sede: Sala Ulivi, Via Ciro Menotti 137 Modena
Il fotografo confessò di avere atteso parecchi minuti che l’avvoltoio aprisse le ali minacciosamente dietro al corpicino del bambino piegato dalla fame, durante la carestia del Sudan. Fu ugualmente una fotografia sensazionale, e vinse il premio Pulitzer. Ma milioni di persone vollero sapere della sorte della bambina, e Kevin Carter non seppe dire nulla di più, se non che aveva cacciato via il predatore. Gli dissero che il vero avvoltoio non era davanti ma dietro la fotocamera. Aveva anche altri problemi, ma sei mesi dopo Carter si suicidò. Solo anni dopo, un’inchiesta scoprì che non aveva colpe. Cosa raccontano le fotografie del dolore estremo? Che differenza c’è fra la microstoria reale e lo storytelling che i media ci costruiscono sopra?
Relatore: Michele Smargiassi, laureato in Storia contemporanea all’Università di Bologna con una tesi di storia della fotografia, è stato giornalista prima a L’Unità, poi dal 1989 a La Repubblica, occupandosi in prevalenza di società e cultura. Studioso di storia della fotografia e di cultura dell’immagine, tiene lezioni e corsi in scuole, università e circoli culturali. Da anni cura il blog Fotocrazia. È membro del comitato scientifico della Società italiana di studi di fotografia (SISF), del Centro italiano per la fotografia d’autore di Bibbiena e della Fondazione Nino Migliori di Bologna. Tra i suoi numerosi scritti dedicati alla cultura visuale si ricordano i saggi L’immagine fotografica 1945-2000 (Einaudi, 2004); Un’autentica bugia. La fotografia, il vero, il falso (Contrasto, 2009); Ora che ci penso. La storia dimenticata delle cose quotidiane (Dalai, 2011); Sorridere. La fotografia comica e quella ridicola (Contrasto, 2020); Voglio proprio vedere. Interviste impossibili ma non improbabili ai grandi fotografi (Contrasto, 2021).
Destinatari: docenti di ogni ordine e grado
Durata: 4 incontri di 1,30 ore per un totale di 6 ore
Numero di adesioni: massimo 70 partecipanti